In questi giorni mi sono cimentata con un nuovo genere: la sceneggiatura di video.
È una forma di scrittura entusiasmante perché, anche se spesso presenta diversi vincoli, si presta molto alla creatività e all’estro personale.
Nel mio caso i vincoli erano diversi:
- testo già scritto (da altri)
- poche immagini (spesso solo disegni appena abbozzati)
- nella maggior parte dei casi mancanza di sincronizzazione tra testo e immagine.
La sfida era quantomeno affascinante.
Sono partita guardando quello che avevano fatto altre colleghe prima di me, poi mi sono messa al lavoro.
Panoramica, zoom, dissolvenza, assolvenza, nuova immagine e così via.
Ad un certo punto ho capito che dovevo chiudere gli occhi e cercare di tradurre in indicazioni quello che vedevo nella mia mente leggendo il testo.
Giuro che non è affatto semplice.
C’è il rischio di bombardare chi guarda mostrando troppo: confronti, particolari, colori, ma anche di creare un senso di vuoto nelle parole che scorrono solitarie su uno sfondo fisso.
C’è il rischio che tante transizioni che hai immaginato non si possano realizzare perché l’inquadratura è troppo piccola o le immagini troppo rovinate, che il grafico non riesca a tradurre in video quello che per il momento è solo su carta.
Ho lavorato, ho guardato le immagini, letto il testo e scritto la sceneggiatura.
Il risultato non è stato dei migliori – lo ammetto – ma vedo margini di miglioramento e questo mi fa sperare. Dopotutto è questo uno degli aspetti più affascinanti di quel processo che chiamiamo “imparare”.