La dura legge del writer

Ogni tanto mi viene in mente che la vita dei contenutisti o writer (più figo, no?) è proprio curiosa.
Ti impegni come gli altri durante il tuo percorso di studi ma quando finisci è come se tu non avessi fatto niente. Scuole superiori, laurea, master cancellati in un battito di ciglia.
Allora ricominci con tutta l’umiltà del mondo (come fanno anche gli altri del resto), studi, impari dagli altri, fai la gavetta per qualche anno, scrivi, leggi, scrivi ancora, ti informi, ti sforzi il triplo degli altri per capire cos’è la cache e come si svuota, per imparare l’html, i tag, i div, i css e non guardare sempre con gli occhi stralunati i tecnici e i grafici che ti parlano nella loro lingua.
Non basta perché non hai ancora cominciato a fare il tuo lavoro: devi progettare un’applicazione quindi studiare l’architettura dei contenuti in una forma sempre nuova, su supporti sempre diversi o con caratteristiche che cambiano come lo scorrere dell’acqua. Non è finita perchè devi riguardare i testi o scriverli (meno male che ogni tanto c’è anche questo), realizzare il wireframe e rispondere alle domande degli altri che vogliono tutto malettamente subito e non ammettono ripensamenti o incertezze. Inutile dire che per fare questo devi ancora studiare, leggere, pensare, guardare oltre lo schermo, scrivere regolarmente.
Voi direte: -Che vuoi farci? È così per tutti! Ciascuno deve impegnarsi molto per fare al meglio il proprio lavoro!-
-Giustissimo – dico io – Sono d’accordo. –
Il problema sta nel fatto che alla fine di tutto ho la percezione che nessuno apprezza veramente questo lavoro. Se hai progettato un’applicazione figa, il merito va al grafico che l’ha rivestita o al tecnico che le ha dato i movimenti. E tu? Resti al tuo posto, perché dopotutto il tuo contributo non è stato così fondamentale come credi.
Il grafico è l’esperto di design, il tecnico è “l’ingegnere” e non si tocca e tu? Sei lo sfigato che all’università ha studiato storia dell’arte (argomento del quale gli altri non hanno bisogno di sapere niente) ed ora deve buttarsi nella mischia e cercare di non farsi troppo male.
La verità è che ormai i testi non li legge più nessuno. Quindi se lavori ad una brochure i meriti sono solo del grafico, se pensi ad una applicazione multimediale o ad un sito web la bravura è del web designer in collaborazione con il tecnico di turno.
Poca visibilità in ogni caso.
Sapete che vi dico? Chi se ne frega. Io chiudo il blog per qualche giorno e vado a Londra a vedere il British museum. E il museo di storia naturale. E la National gallery. E la Tate gallery. E il Victoria and Albert Museum.
Alla faccia di chi pensa che l’opinione dei contenutisti sia superflua. Io, zitta zitta, ingrasso i neuroni.

Text editor

Scrivo poco in questo periodo. Questo mi rende nervosa, perché ho sempre considerato la scrittura una valvola di sfogo molto efficace.
Ho cominciato a tenere un diario ai tempi della scuola media: tra alti e bassi, l’abitudine di scrivere pensieri e forti emozioni mi ha sempre accompagnata.
Perché, allora, da qualche tempo scrivo meno? Non può essere solo questione di tempo, quando vuoi il tempo lo trovi basta eliminare i tempi morti; non si tratta neanche solo di mancanza di stimoli perché ci sono imput “in ogni dove“.
Allora cosa?
Ho riflettuto e ho capito che forse il problema sono proprio i troppi stimoli. Social network, blog, mailing list, link su argomenti svariati. Ogni volta penso:” interessante questo, devo scrivere un post… anche questo è interessante, devo segnalarlo sul blog...” Poi finisce che metto tutto su delicious o nelle mie cartelle di scrittura sul PC e non scrivo nulla.
Malissimo.
Oggi però voglio segnalare un paio di link utili che ho trovato di recente. In questi giorni sono ai ferri corti con la formattazione di alcuni documenti: indici e stili fanno perdere la pazienza anche ai santi (non importa se usi openoffice o word), per non parlare della sporcizia che ti porti dietro quando fai copia-incolla su un CMS per esempio. Dovevo fare qualcosa.

Cercando in rete ho scoperto che non esistono solo questi text editor e mi si è spalancato un mondo: LaTex è un programma free di composizione tipografica specifico per linguaggi scientifici e informatici (XML ad esempio).

Ci sono poi tutta una serie di text editor (qui un elenco abbastanza completo) che aiutano ad evitare distrazioni, particolarmente indicati ai puristi della scrittura, a chi vuole concentrarsi solo sulle parole lasciando la formattazione ad un secondo momento.
Simili ad un blocco note, aiutano ad evitare distrazioni quando si scrive e usano uno sfondo scuro riposante. Ovviamente non possono sostituire programmi di editing veri e propri, perché se è vero che la forma non deve prevalere sui contenuti è altrettanto vero che anche l’occhio vuole la sua parte (i contenutisti mi capiranno).
Per curiosità sto scrivendo questo post con uno di questi programmi (Online appwriter) e devo dire che non è male. Indipendentemente dall’uso che si fa di questi strumenti, (personalmente continuerò a usare il vecchio openoffice per i documenti), è importante sapere che esistono, che la realtà non è solo quella che vediamo noi.
Come si dice impara l’arte e mettila da parte, prima o poi vi assicuro che tornerà utile.

Repetita iuvant

Rispolverare qualche buona regola fa sempre bene, così come fa sempre bene sfogliare i libri delle elementari: non ci crederete mai ma ci sono un’infinità di cose che pensiamo di sapere ma che in realtà abbiamo rimosso dalla Ram.
Siccome a me repetita iuvant, trascrivo le regole che Stephen King suggerisce in On writing:

  • non usare più di 21 parole in una frase;
  • non usare mai una parola complicata quando ce n’è una semplice in alternativa;
  • guarda avverbi e aggettivi con sospetto;
  • usa sempre la forma attiva dei verbi;
  • cura la scelta dei sostantivi evitando le parole “tuttofare”;
  • vai subito al dunque;
  • fai domande;
  • stuzzica la curiosità del lettore.

È ovvio che non si tratta di dogmi assoluti, ma di consigli da prendere – piuttosto – come generiche linee guida. Certo molto dipende dallo stile.
Ci sono alcuni scrittori capaci di mantenere alto il registro di un periodo anche molto lungo, così come riescono a caricare di aspettative un personaggio  circondandolo di aggettivi o sono capaci di dilatare il tempo con gli avverbi.
Mi dispiace dirlo ma sono in pochi (molto pochi) gli scrittori che possono permettersi una cosa del genere.
Valutate la possibilità che non siate tra questi e cercate di non strafare perché, in realtà, la vera norma da seguire è il buon senso, la linearità del concetto, il ritmo. Il resto – come in tutte le cose – è una questione di esercizio e di stile.

I punti elenco: norme d’uso

Da tempo cercavo una regola chiara e condivisa per l’uso delle liste in un testo per web.
Finalmente l’ho trovata sul manuale di stile di Infotel e, oltre a trascriverla nel mio quaderno di scrittura, la condivido con tutti.
Nel web l’uso delle liste permette di alleggerire il testo e renderlo più leggibile.
Spesso mi capita di usare le liste nei manuali: qual è la sequenza di azioni da compiere per completare un’operazione, quali sono le funzioni legate ad tasto, quali facoltà sono associate ad un profilo utente e così via.
In principio scrivo il concetto in forma discorsiva, in fase di revisione  – invece – mi capita quasi sempre di sostituire il periodo con un elenco puntato: più chiaro da comprendere e da memorizzare, più facile da ritrovare a primo colpo d’occhio.
Nell’ortografia della frase, però, mi sfuggivano alcuni dettagli:

  • maiuscola o minuscola a inizio parola?
  • punto e virgola, punto o nulla a fine frase?

Finalmente ho trovato la norma (anche se è ovvio che c’è chi non concorda):

1. se i termini della lista sono semplici e brevi non si usa la punteggiatura tra un termine e l’altro;

es.
Prima di uscire indossa:

  • cappotto
  • guanti
  • cappello
  • sciarpa

2. se i termini sono composti da frasi parte integrante della frase che introduce la lista si usa la miniscola, il punto e virgola alla fine di ogni termine e il punto sull’ultimo;

es.
Prima di uscire è consigliato:

  • indossare un cappotto piuttosto pesante;
  • scegliere un paio di guanti felpati;
  • calzare ben bene il cappello sulla nuca per evitare di lasciare scoperta la fronte;
  • stringere attorno al collo una lunga sciarpa di lana.

3. se i termini sono complessi e costituiti da frasi distinte rispetto al periodo introduttivo si usa la maiuscola e il punto alla fine di ogni frase.

es.
Come vestirsi in Norvegia.

  • È consigliato comprare un cappotto per attutire il gelo pungente, le piume d’oca sono le più calde in assoluto.
  • Per evitare i geloni alle mani (quelle dolorose bolle provocate dagli sbalzi di temperatura) è sempre bene mettere dei guanti tecnici tipo sci.
  • Chi non sopporta il freddo alla testa o soffre di emicrania, non deve mai uscire senza cappello. Molti uomini scelgono cappelli di lana, mentre le donne indossano cappelli di pelliccia, decisamente più eleganti.
  • In ultimo, ma non meno importante, non dimenticare lunghe e avvolgenti sciarpe di lana, evitaranno i fastidiosi colpi di freddo al collo.

Basta poco, che ce vo’?

Da diverso tempo ormai siamo abituati a correre: nella vita privata, nel lavoro, per strada, anche nella pausa pranzo.
I ribassi nelle gare d’appalto giocano tutto su tempi strettissimi, la qualità di un professionista si valuta non solo sul risultato ma soprattutto sulla velocità di esecuzione di un lavoro.
Certo nessuno può permettersi i tempi giurassici di qualche anno fa, le riflessioni prolugate, i cambi di rotta che fanno ricominciare tutto d’accapo.
– C’è da scrivere un nuovo progetto – dice il capo di turno.
– Ok, per quando? – risponde il povero sottoposto.
– Per ieri, che domande! – Ecco che la specializzazione più diffusa non può che essere quella in Ctrl + C/Ctrl + V.
Non può essere questo il modo di lavorare. Le cose fatte bene hanno bisogno di tempo.
Un articolo di giornale, ad esempio, non può essere scritto e pubblicato direttamente. Deve essere scritto, riletto, corretto, uniformato nei toni. Perché scrivere su un quotidiano non è come scrivere su un piccolo blog come il mio (giuro che sono attenta ai miei post).
La cura deve crescere se parliamo delle versioni on line, ormai più lette di quelle cartacee, invece spesso mi capita di leggere dei titoli di una sciatteria infinita.
Proprio stamattina su Repubblica mi sono imbattuta in diversi errori grossolani:
Tra i fedeli il l’arcivescovo
I gravi problemi di staticità rilevati durante controlli di prevenzione e malgrado l’assenza di crepe o cedimenti. La Provincia autonoma di Trento ordina l’evacuazione immediata, tuttora in corso” (che vorrà dire non si sa…)
Ieri oltre 30 persone erano uccise (!!) in tre diversi attentati contro alberghi“.
Per non parlare delle È che sono tutte E’ (perché si dovrebbero chiamare accento e apostrofo se sono la stessa cosa?), dei PM (magistrati) denigrati a pm (del pomeriggio?), per finire alla mancanza di regole negli spazi prima e dopo la virgola (questo è davvero cercare la rissa).
Mi rendo conto che i giornalisti hanno tempi strettissimi e devono aggiornare le notizie praticamente in tempo reale, ma la situazione non è più sostenibile. Qualcuno deve mettersi una mano alla coscienza.

Sono sicura che basterebbe poco per cambiare musica… forse solo rileggere.

Manuali: istruzioni d’uso

Qualche giorno fa mi sono ritrovata a dover aprire un mio vecchio lavoro, un manuale per l’esattezza. Orrore! Dopo aver pensato che  -forse – non meritavo neanche la licenza elementare, ho respirato profondamente e ho cercato di capire cosa non andava assolutamente.

Ho afferrato il mio quaderno della scrittura e mi sono appuntata dei pensieri sparsi, un promemoria per fissare a me stessa delle linee guida sulla redazione di manuali, in particolare per i siti web.

Ecco quello che ho scritto:

  • è opportuno intitolare i capitoli principali con il nome delle sezioni del menu di primo livello; non leggendo nomi amici, il lettore potrebbe essere preso da ansia da abbandono già nell’indice
  • ogni capitolo deve prevedere una descrizione dell’architettura della pagina; chi legge – infatti – spesso non è un addetto ai lavori e ha bisogno di una corrispondenza tra ciò che vede (nel sito) e ciò che legge (nel manuale): serve a coccolarlo
  • già dall’indice deve essere ben chiaro che il manuale è una guida per l’utente quindi occorre distinguere la descrizione del sito dal supporto di back-end
  • se in realtà l’obiettivo del documento è descrivere l’uso del CMS (Content Management System) – ovvero il gestore dei contenuti del sito – è opportuno suddividere il paragrafo in due parti: descrizione dei contenuti, elenco delle operazioni da svolgere
  • non dimenticare mai che anche l’occhio vuole la sua parte: la scrittura deve convivere in armonia con gli spazi bianchi. Se all’interno di uno stesso paragrafo, c’è una cambio di argomento netto (ad esempio passiamo dalla descrizione della pagina a quella del CMS), una soluzione potrebbe essere inserire una spaziatura maggiore tra i capoversi
  • anche se il mio mestiere sarebbe quello di scrivere, devo ammettere una dura verità: sono gli spazi bianchi a rendere leggibile un testo! Frasi ponderate e leggere, il vero ritmo di un documento è scandito dall’alternanza misurata tra bianco e nero, ovvero tra scrittura e spaziatura. Una pagina fitta e senza spazi non avrà mai grande l’appeal, neanche se parla di gossip e pettegolezzi succulenti
  • punti elenco e liste possono risolvere un mare di problemi, scandiscono le azioni da svolgere e aiutano ad individuarle a prima occhiata
  • se ci sono delle azioni che ricorrono spesso, usare sempre gli stessi nomi, anche questo serve a rassicurare chi legge che sta facendo bene
  • quando richiamati, i titoli delle sezioni del sito vanno in corsivo, così come il nome dei tasti o delle tab
  • infine, non trascurare di inserire delle catture direttamente dal sito o delle immagini esemplificative, aggiungere una didascalia chiara e applicare lo stesso stile a tutte le immagini.

Per il momento mi fermo qui, ma tornerò sull’argomento.

Wordle per il copy

Senza volerlo oggi mi sono trovata in mezzo ad un gruppo di lavoro che cercava un’idea per evidenziare alcune parole chiave.
Mi è venuto in mente un giochino che avevo intercettato in rete qualche tempo fa: wordle.
È molto semplice: in pratica prendi un testo e lo dai in pasto a questo motore che lo rielabora e mostra in forma sparsa tutte le parole che hai utilizzato ingrandendo quelle più ripetute.
La verità è che è più facile a farsi che a dirsi.
Anche se si tratta di un divertissement digitale credo possa avere una certa utilità anche a chi scrive.
Ho provato ad inserire un testo di lavoro e immediatamente mi è balzata agli occhi la grandezza di parole come: quindi, pertanto, evidentemente. Orrore!
Quando mi sono ripresa dallo spavento iniziale ho capito che la forma andava rivista creando una lista nera di termini da non usare per nessuna ragione.
Provateci, è divertente.

Impalcature e testi

Da poco sono reduce da una full immertion tra libroni, brochure e guide al territorio che ho consultato per scrivere dei testi per un’audioguida.
Testi descrittivi di argomento naturalistico e storico che fanno parte di vari percorsi tematici.
Raccontare in maniera efficace e accattivante un posto che in realtà non hai mai visto non è semplice.
Sulla mia scrivania c’erano diversi volumi e opuscoli, una lista di titoli che al più presto doveva trasformarsi in testi di 1500 battute e un foglio bianco davanti agli occhi.
Ho passato i primi giorni a leggere, sfogliare immagini e poi leggere ancora senza scrivere nulla se non concetti sparsi che temevo di perdere di vista.
Poi ho cominciato a scrivere. Testi su testi. Di getto, senza badare alla forma.
Tutto quello che avevo letto mi ha permesso di immaginare quei luoghi: boschi, palazzi, vita quotidiana. Il mio compito si è limitato a descrivere quello che vedevo chiaramente nella mia mente.
Solo a questo punto è iniziata la fase due.
Ho riletto tutto, riscritto interi capoversi, cercato sinonimi, ribaltato frasi, aggiunto concetti che potevano chiarire il quadro generale, limato il testo.
Via le ripetizioni, via gli avverbi cacofonici, via i verbi “tuttofare”, attenzione alla punteggiatura (la mia croce dalle elementari), al ritmo, allo stile.
È come costruire una casa. La prima cosa che bisogna fare è montare l’impalcatura, la colata di cemento – quello che poi si vedrà della casa – viene dopo e si appoggia alle travi in legno. Alla fine l’impalcatura viene smontata e non ne resta traccia ma senza il muro non potrebbe esistere.
Ho letto questa metafora tempo fa e l’ho trovata perfetta.
Quando scrivo un testo, che può essere di lavoro o un post, scrivo di getto ma la prima versione è lontana anni luce da quella definitiva. É solo uno scheletro, poco più che un’annotazione di pensieri. Nella versione definitiva può cambiare addirittura il registro stilistico e diventare più diretto o più istituzionale a seconda del contesto.

Ecco un esempio che ho preso da un mio testo destinato al web:Prima stesura:

In principio era lo studiolo, poi è diventato un luogo per stupire e meravigliare ospiti illustri e sovrani, oggi passa da chi lo considera un semplice contenitore e chi ne farebbe volentieri a meno.
In generale l’arte ha la capacità di creare dipendenza in alcuni e profondo ribrezzo in altri, cosi come ci sono quelli che ci si immergono completamente anima e corpo e quelli che l’allontanano senza mezzi termini.
A molti è capitato di andare in gita scolastica agli Uffizi e di ricordare solo la noia di una giornata interminabile, di vedere una mostra e non capirci nulla, di dire “questo sono capace di farlo anche io!”

Versione definitiva:

Partiamo da un semplice assunto: l’arte ha la capacità di creare dipendenza in alcuni e profondo ribrezzo in altri, chi si immerge completamente anima e corpo e chi l’allontana senza mezzi termini.Alzi la mano chi non ricorda la gita scolastica agli Uffizi come una noiosa giornata interminabile o chi ha visitato una mostra di arte contemporanea senza pensare “questo sono capace di farlo anche io!”.

La seconda versione è più pulita, ho eliminato l’incipit troppo accademico rendendolo più brioso e diretto come vuole lo stile giornalistico. Certo può piacere o no ma rende bene il “dietro le quinte”.
Personalmente sento ancora il bisogno che qualcuno controlli quello che scrivo e che in un certo senso firmi una sorta di liberatoria alla mia coscienza di copy ma il mio metodo è questo.

Strumenti affilati per cominciare

ferri del mestiere
ferri del mestiere

Qualche volta capita di sentirsi meno soli quando si scopre che esistono persone che sono riuscite a fare quello che vorresti fare tu e che hanno voglia di condividere esperienze e risultati o semplicemente coinvolgerti nelle loro riflessioni quotidiane.
In questo senso la scoperta della blogosfera è stata per me una manna dal cielo, un modo per confrontarmi con professionisti della scrittura a tutto tondo.
Perchè scrivere non vuol dire solo essere autori di best-sellers ma vuol dire soprattutto lavorare ad una passione.
Non si tratta di un lavoro semplice. Anzi.
La scrittura non è una scienza esatta come la matematica, è il risultato di un’estenuante lavoro di lima, di introspezione, di sentimento.
Certo ci sono delle regole da seguire ma quello che ho capito nella mia breve esperienza è che ci vuole una dose smisurata di umiltà ma nello stesso tempo di testardaggine.
Ci vuole esercizio.
Scrivere, scrivere e poi scrivere ancora. Ogni giorno, senza sosta. Rileggere. Pensare. E poi studiare. Perchè la tecnica non è innata in nessuno altrimenti non si chiamerebbe così ma sarebbe un dono di Dio. E per quello che ne so io non dispensa questo tipo di doni a chicchessia. 🙂

Nel mio piccolo continuo con l’idea di segnare la mia strada di mollichine e per questo aggiungo nella colonna di lato un paio di blog interessanti per riempire di attrezzi la mia cassetta del mestiere.

*Vendetta è vivere bene, senza di te*

Nuove forme di narrativa sono al vaglio della critica tra cui scrittura collettiva (vedi il nuovo romanzo tridimensionale che ho scoperto sabato al Materacamp) e il flash writing. Mi soffermo velocemente su quest’ultimo tema di cui riporto due esempi per rendere il concetto più chiaro:

L’ultimo uomo sulla Terra è chiuso in camera. Bussano. (Stephen King)

In vendita scarpine da neonato. Mai indossate. (Ernest Heminguay)

Questi sono solo due esempi illustri, ce ne sono molti altri anche perchè si tratta di un vero e proprio genere di narrativa che ha dato spunto a teorizzazioni e pubblicazioni e che affonda le radici lontano tra le favole di Esopo e le terzine di Dante.
Se è vero che scrivere epurando ogni riga del superfluo può essere un vantaggio per non sbagliare dicendo troppo è altrettanto vero che massime e aforismi si reggono solo se hanno dietro una forza costrutiva solida e meditata. I due esempi riportati sopra aprono all’immaginazione un mondo senza alcun limite se non quello della propria fantasia.
Altri esempi di flash writing? Le vignette di Vauro..:)

PS. il titolo è tratto da Joyce Carol Oates.